/ PRESENTATION
Goccia d’acqua su pietra rovente
di Claudio Musso
No, non è un film.
Non è possibile trattare la fondamentale quanto delicata “questione idrica” come fosse una delle tante pellicole distopiche di fantascienza.
Il cambiamento climatico è in corso e l’essere umano ne è parte integrante, prima ancora di esserne in qualche modo la causa principale. Non è una goccia nel mare che potrà invertire i processi in corso e, di certo, mai come oggi la sensazione che la goccia abbia fatto traboccare il vaso è stata così limpida: il mondo non si cambia da un giorno all’altro, ma goccia a goccia si scava la pietra.
Qual è allora il viaggio della goccia? Secondo Élisée Reclus «[…] il nostro sguardo non é abbastanza ampio da abbracciare nel suo insieme il circuito della goccia e ci limitiamo a seguirla nei suoi giri e nei suoi salti, da quando appare nella sorgente fino a quando si mescola con l'acqua del grande fiume o dell’oceano». Il progetto Ground Water dell’artista Andreco (Roma, 1978) sgorga proprio dalla fonte di questa affermazione: seguire il percorso delle acque laddove scompaiono ai nostri occhi e si interrano aprendo solchi cavernosi. Per questo l’acqua, il suo flusso, le sue caratteristiche fisiche, perfino il suo (non) colore sono scomparsi dalle raffigurazioni che occupano le grandi tele. Sono presenze in assenza, lacune in grado di parlare di ciò che le ha generate, tentativi di tracciare i confini del vuoto, sono vacuum form. Del resto nelle cavità sotterranee vacuo risuona con acqueo, e sono proprio i bacini idrici, aldilà delle loro dimensioni, a costituire la più potente forza di modellazione della pelle terrena del Pianeta. Rivoli, rigagnoli, canali, torrenti e perfino fiumi scorrono al di sotto della crosta terrestre e nelle profondità creando luoghi irraggiungibili, dove talvolta si sviluppa la vita. Scriveva Giuseppe Penone nel 1980: «I due perfetti, totalità dell’immagine, il fluido e il solido nel lento fluire delle acque, producono scultura. […] Il fiume è dotato di una agilità meravigliosa, il suo scorrere è continuo insistente metodico tattile ed eterno. […] Il fiume trasporta la montagna è il veicolo della montagna».
Quando l’acqua si dilegua cosa resta? Le più note concrezioni calcaree formatesi in seguito alla perdita di anidride carbonica dalla superficie delle gocce d’acqua sono le stalattiti. Anch’esse appaiono come forme plastiche, frutto di un processo scultoreo, possono apparentarsi alla statuaria quando si ergono come obelischi inversi o quando svettano come pinnacoli, possono perfino figurare al pari di elementi architettonici quando nelle grotte carsiche si spingono fino al pavimento come colonne in una navata. Le cromie che contraddistinguono gli antri cavi dove si riversano i residui acquosi si inseriscono prepotentemente nella tavolozza dell’artista, dagli ossidi ferrici alle terre, dai solfati ai carbonati, fino alle candide opacità minerali. Gli elementi rocciosi che pervadono le composizioni dipinte emanano una lampante forza centripeta: come diaframmi si restringono puntando il fuoco verso il centro del quadro, verso il biancore niveo, lo spazio lasciato dall’acqua. Liquidi che evaporano, residui che si sedimentano, reazioni chimiche e passaggi di stato atti a descrivere le trasformazioni degli elementi naturali con l’occhio meravigliato dell’alchimista. La natura raccontata per simboli riacquista una centralità nel discorso pubblico non solo come emergenza ambientale, ma come parte attiva del flusso vitale anche nel presente. I luoghi remoti, esplorati seguendo il tragitto delle acque, più che interni posso definirsi interiori perché in essi anche il tempo assume proporzioni di carattere geologico. Non è la velocità di scorrimento di un liquido in un condotto a dettare il ritmo nelle spelonche che si offrono come scenario, piuttosto è l’incedere cadenzato di una goccia fissata nell’attimo in cui, raggiunto il pelo dell’acqua, è in procinto di dissolversi. È la stessa goccia da cui il ciclo ha avuto inizio, che porta su di sé gli spigoli della roccia, la memoria del cammino compiuto, le tracce che acqua e terra si sono vicendevolmente scambiate.
ANDRECO
(Andrea Conte, Roma 1978)
È un artista visivo che unisce una formazione scientifica – un dottorato in Ingegneria Ambientale – con un percorso artistico che investiga i rapporti tra spazio urbano e paesaggio naturale, tra uomo e ambiente. La sua riflessione su sostenibilità e conseguenze del cambiamento climatico si sviluppa attraverso progetti che vanno a comporre un'unica ricerca multidisciplinare, elaborata in un’estetica minimalista, un linguaggio di sintesi, simbolico e concettuale, ed una pluralità di tecniche di rappresentazione: dalle installazioni alla performance, dal video alla fotografia, dal murale alla pittura, dalla scultura fino ai progetti d'arte pubblica. Andreco ha partecipato a mostre e festival a livello nazionale ed internazionale e sue opere sono state esposte alla Biennale di Architettura di Venezia (2018), alla Triennale di Milano (2018), alla Saatchi Gallery di Londra (2017), al Centro per L'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato (2017) e al MACRO di Roma (2013).